La giornata in cui Andrea di York perde titoli, casa e onori segna uno spartiacque simbolico. Non perché la monarchia britannica sia un tempio di virtù, ma perché il messaggio è chiaro: il privilegio non è uno scudo perpetuo. Re Carlo III ha tolto ogni residuo di dignità pubblica al fratello e lo ha sfrattato dal Royal Lodge. Stop. Si chiama responsabilità, e passa anche da decisioni dure, impopolari, ma necessarie per salvare l’istituzione da chi l’ha ferita.
Nello stesso registro, la Francia porta in carcere un ex presidente, Nicolas Sarkozy, dopo una condanna pesante. Succede in una democrazia matura che non teme di guardare in faccia le proprie ombre e di inchiodare alle proprie responsabilità anche i più potenti. È un dolore civile, ma è anche una cura: la certezza che il patto tra Stato e cittadini non è un foglio di carta, bensì una pratica quotidiana.
E in Italia? Qui il film si blocca alla prima scena. Scandali e inchieste iniziano tra luci e clamori e finiscono troppo spesso nel cono d’ombra di prescrizioni, cavilli, depotenziamenti normativi, amnesie istituzionali. Le carriere continuano, i salotti applaudono, le conferenze si moltiplicano, i titoli tornano a brillare come se niente fosse.
È la Repubblica del “si accomodi”, dove l’indignazione dura un weekend e l’impunità è una rendita.
Non è questione di forconi morali, ma di regole applicate. Se a Windsor si taglia il cordone di una rendita parassitaria, a Parigi si chiudono le porte di un penitenziario; da noi si aprono quelle della memoria corta. L’interesse generale arretra davanti alla protezione incrociata di politica, affari, pulpiti e palcoscenici. Il risultato è micidiale: il cittadino onesto interiorizza che rispettare le regole è facoltativo, un costo da sciocchi.
L’argine si costruisce con tre verbi: chiarire, decidere, eseguire. Chiarire competenze e responsabilità, senza zone franche. Decidere riforme che rendano i processi rapidi ma non evanescenti. Eseguire le sentenze senza ginocchiere per i notabili. Sembra poco, è rivoluzionario.
Oggi Londra e Parigi ci ricordano che la reputazione delle istituzioni vale più del prestigio dei loro inquilini. Tocca a noi scegliere se restare nel teatro delle ombre o ricostruire una grammatica civile in cui la legge sia davvero, finalmente, uguale per tutti. Non domani, adesso.

