La fermezza australiana contro il flaccido sistema Italia. Djokovic, qui avrebbe giocato.

Nelle ultime settimane, il continente australiano ha fatto  molto parlare di sé per aver tenuto a bada l’arroganza del giocatore di tennis numero uno al mondo: Novak Djokovic, serbo di 34 anni.

Alla lunga, l’opinione pubblica, a parte gli appassionati di quel genere sportivo, erano quasi infastiditi di tutto quello spazio mediatico concesso, a fronte di problemi ben più seri e importanti.

Sposto però l’attenzione su una visione non citata da nessun media o quotidiano. Riprendendo l’argomento che ho volutamente lasciato decantare, creo un parallelismo che sorge quasi spontaneo alla lettura dei fatti e della loro apprezzata conclusione finale, unica voce fuori dal coro, oltre il protagonista, il Presidente Serbo Vucic.

Se gli Australian Open fossero stati un evento mobile e il Paese ospitante e di organizzazione fosse stata l’Italia, Djokovic avrebbe giocato. Il giocatore e i suoi sponsor avrebbero trovato nel nostro Paese, terreno fertile per giocare tutte le carte per l’ammissione, lecite ed illecite.

Agli occhi del mondo, come tanti altri, l’Italia si presenta come un sistema irresoluto, con la forte inclinazione alla compassione di fronte all’illecito. Questo vale sul fronte immigrazione, quanto alla commissione di reati, dal semplice furto all’omicidio, peggio ancora quando parliamo di corruzione o evasione fiscale.

Le settimane di attesa sarebbero state le stesse, gli assembramenti sotto il luogo di fermo dove è stato posto il giocatore gli stessi, anzi, magari qualcuno, Sciarelli, Nuzzi, Giordano, Giletti o Porro sarebbe riuscito nell’intento di fare uno scoop ed intervistarlo.

Sarebbe cambiata la location certo, ci pensate Djokovic mandato al Cara di Mineo di Catania quando ancora era aperto con quattromila immigrati? Noi gli gli avremmo garantito l’Armani Hotel in Via Manzoni a Milano.

Il fragile sistema di controlli e rispetto della legge nel nostro Paese, mette nelle condizione quasi chiunque di osare e agire, facendosi beffa di norme e soprattutto sanzioni, lo vediamo con il Covid e ne sa qualcosa l’Agenzia delle Entrate quanto le semplici casse comunali di ogni città.

Ve li immaginate i dirigenti sportivi della Federazione nelle conversazioni telefoniche con il Ministro dell’Interno o i suoi dirigenti? Un botta e risposta estenuante con un finale alla Ponzio Pilato magari impreziosito da una serie di pressing del Ministro degli Esteri intimorito di ledere l’immagine del bel Paese con una decisione troppo dura.

La mollezza italiana contro la fermezza australiana, una Nazione con mille difetti, a volte arrogante, tanto da tirarsela agli occhi del mondo, ma rispettata proprio sul fronte della compattezza politica quando si tratta di far rispettare le proprie leggi da chi ci vive ma soprattutto da chi decide di farvi visita, viverci o semplicemente farsi una partita a tennis, non importa se la più importante del mondo.

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