Il sentito dire frappone sempre il vantaggio di una semplice percezione dell’accaduto e delle emozioni scaturite rispetto all’esserne invece protagonista. Quella che prima era solo un’impressione, col trascorrere del tempo, è divenuta certezza.
Viviamo in una società in cui la liceità della violenza verbale arriva a racchiudere odio, rabbia, insulti e perfino persecuzioni.
L’humus naturale in cui questo modo di comunicare e relazionarsi prolifera si trova all’interno dei social. Nel caso specifico, “X” o “Telegram” sono incubatori e luoghi dove l’appartenere a un’ideologia politica non gradita o la frustrazione di non sentirsi compreso, accettato o, semplicemente, deriso per aver rifiutato il “mainstream” trovano comunanza d’intenti, e, come una miscela esplosiva, irrompono nella peggior rappresentazione verbale che si possa sentire.
Essere inconsapevole protagonista di tutto ciò è come trovarsi al Colosseo, un gladiatore in attesa della fiera, circondato da un pubblico inferocito che brama sangue e vendetta.
Avevo già sperimentato questo odio verbale per un post in una discussione a tema “Arisa” e comunità LGBTQ+, ma questa volta è andata peggio.
Nell’espressione del mio attivismo e della mia collaborazione con il team della Vicepresidente Kamala Harris per le Presidenziali USA, ho voluto ironicamente intervenire su X, Instagram, Facebook e Telegram in merito a post e commenti che esprimevano giudizi pesanti e insulti verso la candidata democratica.
Giudizi esposti, nella grande maggioranza dei casi, basati su quanto si apprende dalla stampa, dalla radio e dalle televisioni, un condizionamento a volte assai lontano dalla realtà. Dopo quasi 4 anni di attività nel team, posso dire di avere qualche argomento di conoscenza personale e professionale a ragione rispetto a molti di loro.
Non pensate si tratti del solito “non colto” residente nelle frange della criminalità o nei bassifondi del proletariato; hanno risposto professori universitari, magistrati, medici, manager, senza parlare dei complottisti, no-vax, terrapiattisti e ambientalisti… e chi più ne ha più ne metta, unitamente al sottobosco dell’anonimato.
Una veemenza di attacchi e odio da lasciarmi stordito, amareggiato e profondamente addolorato.
Ho lasciato passare qualche giorno cercando di estraniarmi da quell’ambiente, ripromettendomi di limitare professionalmente l’attività ai soli post previsti dagli accordi, senza mai più intervenire in nessuna conversazione social.
Sono consapevole che quella violenza non mi appartiene; ho dedicato anni di lavoro a mediare e costruire relazioni tra estremi opposti. Credere nel confronto democratico tra esseri umani è un modo d’essere, un valore, un’identità che non si può svendere all’odio.