Il contagioso pericolo sociale dell’ignoranza.

Non so voi, ma io sono molto amareggiato, provo un fastidio crescente. Cerco, come un naufrago, di restare avvinghiato alla mia minuta zattera di cultura. Anno dopo anno si è resa più preziosa, aiutandomi a navigare nella pochezza del verbalizzato e a crescere nei momenti d’incontro con veri maestri.

Il fatto è, che il potere economico non ha coinciso con il contenimento dell’ignoranza e i governi che si sono succeduti negli anni, si sono ostinati a non destinare risorse per la cultura investendo così sulle umane risorse nonché sulle necessità strutturali e strumentali.

L’irresponsabile continuità di questo modus operandi ha contribuito al corto circuito di cui oggi più di allora paghiamo pegno. Dentro i Palazzi Istituzionali le ultime due generazioni più di altre, hanno subìto il decadimento della cultura e lo avvertiamo dalle continue gaffe, dagli strafalcioni grammaticali e dalla scarsa capacità di enunciare un ragionamento sostenuto da logica. Senza escludere l’aggressività verbale e l’insulto.

Se questa è la punta della piramide di rappresentanza del Paese, basta scendere per restare attoniti ed essere avvolti dall’emergere di una consistente e dilagante ignoranza. La quota di 30-34enni laureati è pari al 26,8% contro una media europea del 41,6%. Al 2022, la quota di 25-64enni in possesso di almeno un diploma è circa il 62,7%,la media europea è circa il 79,3%.

Ma il problema vero resta come i diplomifici erogano questi attestati e quanto seppur giustificati, vi siano insegnanti demotivati e poco appassionati incapaci di aprire le porte della curiosità e della conoscenza.

I tagli alla cultura creano deficit nel Paese e sempre più ci ritroveremo nelle strade, nei locali e dentro quei sessanta secondi di mondo virtuale, giovani e adulti che parlano al limite del logorroico, privi di sintesi, sorretti dalla carenza di proprietà linguaggio, scarsa abilità lessicale, incapaci di armonizzare o enfatizzare una frase utilizzando al meglio sinonimi o verbi fuori dall’uso comune.

Eppure ognuno di noi resta affascinato quando ascolta stile, forma e educazione nel linguaggio comune, oggi sempre più raro, ma basta leggere un whatsapp o un post per vedere un campo di battaglia ma è lì, nella forma espressiva quotidiana che si manifesta ciò che resta di un patrimonio perduto.

E Pasolini scriveva: “Noi siamo un Paese senza memoria. Il che equivale a dire senza storia. L’Italia rimuove il suo passato prossimo, lo perde nell’oblio dell’etere televisivo”. 

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