Un popolo di emigrati con poca memoria.

New York, Sidney, Toronto, Buenos Aires, San Paolo, Montevideo anni ’20, i porti videro lo sbarco di milioni di cittadini italiani.

Tra il 1881 e il 1985 quasi 30 milioni di nostri connazionali, salparono da Genova, Le Havre o Napoli per darsi un’opportunità di vita migliore.

Negli ultimi 4 anni in Italia sono sbarcati circa 120 mila stranieri. Ad oggi abbiamo circa 6 milioni di stranieri di cui 5 milioni e 600 mila regolari, 83 mila circa con richiesta di asilo e 517 mila irregolari.

Le motivazioni sono le stesse che avevano i nostri avi, identiche a tutti gli abitanti della terra che per spirito di miglioramento sfidano il destino dandosi una chance in più e donandola alle generazioni future.

Erano viaggi della speranza in condizioni disumane, un sacco imbottito di paglia e un orinatoio ogni 100 persone gli unici comfort di un viaggio che durava un mese. Molti morivano prima, esattamente lo scenario che vediamo e leggiamo ogni giorno dalle nostre coste di approdo.

Sbarcati era subito gioia? No. Li consideravano “una razza inferiore” o una “stirpe di assassini, anarchici e mafiosi”. Il presidente Usa Richard Nixon intercettato nel 1973  disse: “Non sono come noi. La differenza sta nell’odore diverso, nell’aspetto diverso, nel modo di agire diverso. Il guaio é che non si riesce a trovarne uno che sia onesto”.

Esportavano solo braccia da lavoro, uomini e donne che procreavano incrementando positivamente la demografia? No. Oltre la dignità i nostri usi e costumi anche criminalità e pure organizzata, basti pensare Lucky Luciano e l’organizzazione di Cosa Nostra italo americana degli anni’20.

Sento già le stesse obiezioni che sentivo negli anni 80 o all’inizio del 2000 quando arrivavano in massa polacchi, albanesi, afgani , siriani e poi africani: “Sì ma noi seguivamo le regole, loro sottraggono lavoro, non si integrano, vivono tra loro.”

Eppure la storia racconta che gli emigrati italiani nel mondo avevano i loro quartieri, Little Italy ne è ancora un esempio sbiadito, chiunque partiva portava con sé qualcosa del cibo italiano e quando aprirono i primi negozi e trattorie italiane, il cibo era nostro come pure i vestiti e la lingua parlata, considerato il livello di analfabetismo presente.

È sempre stato così e sempre lo sarà. È compito dello Stato, delle Comunità, organizzare l’integrazione affinché sia efficace e funzionale al benessere reciproco, vigilare perché le strutture d’accoglienza non diventino business illeciti ma soprattutto immorali.

Adeguare il numero di permessi alle reali necessità del mondo del lavoro evitando sfruttamento clandestino da parte delle  attività produttive e reclutamento nella malavita.

Giorgia Meloni è consapevole di non poter sbagliare un colpo, pena dissolvere l’impegno profuso in questi anni e dopo lo scivolone di ieri imponga un proficuo silenzio ai suoi collaboratori ma anche a un vice premier che ha davvero stancato, una prima donna di avanspettacolo mancata, uno che esiste sulla pelle di chi lavora davvero e parla poco nell’interesse del Paese.

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