La deforestazione amazzonica lascia passare il vento sovranista.

I quasi quindicimila km quadrati di deforestazione amazzonica prodotta dall’era Bolsonaro, ieri hanno lasciato che il vento sovranista sospinto dall’Europa, soffiasse senza fermarsi nel Paese carioca.

I risultati delle presidenziali non hanno soddisfatto entrambi i candidati ma pongono sulla via d’uscita Jair Bolsonaro e il suo partito liberale.

Bolsonaro vinse grazie ad una campagna elettorale concentrata sui temi della sicurezza, degli incentivi alla produzione industriale ma anche grazie ad una simpatica emulazione del suo supereroe preferito, Donald Trump.

Il partito dei lavoratori era in una crisi molto complessa, il suo leader ed ex Presidente Lula in carcere e prima di lui la sua delfina ex Presidente Dilma Rousseff coinvolta in uno scandalo di corruzione a cui seguì impeachment e destituzione.

In un certo senso ebbe campo largo ma seppe cogliere l’attimo come si suol dire. Non solo i ricchi ma anche il ceto medio non si sentiva più sicuro nelle proprie case e città, e per poter ottenere autorizzazioni, posti di lavoro o semplici servizi il più comodo lasciapassare era la corruzione.

L’atteggiamento e la verbalizzazione di comportamenti militari conquistò nel 2018 una larga fetta del Paese consacrandolo allo scranno istituzionale più alto.

E allora perché adesso rischia il secondo mandato, peraltro con un Presidente non più immacolato?

Oggi il Brasile, rispetto a quando Lula gestiva, non è più considerato come una delle più importanti nuove economie del mondo, Lula aveva agito sui prezzi delle materie prime agricole ma soprattutto rese tangibile il lavoro fatto per ridurre la povertà senza intaccare il debito pubblico.

A Bolsonaro, gran parte dei brasiliani imputano una pessima gestione della pandemia, seicentomila morti per uno spirito presidenziale negazionista; la radiografia dell’economia la configura come molto deteriorata con un debito pubblico salito all’80 del PIL.

La sicurezza è leggermente migliorata soprattutto nelle grandi città come Rio de Janeiro, vera roccaforte elettorale con il sud del Paese di Bolsonaro ma sul fronte climatico la questione Amazzonica con il processo di deforestazione ripreso spedito ha sicuramente contribuito a spegnere un altra fetta di appeal nel corso del tempo.

Non ultimo, ma non meno importante, l’isolamento nelle relazioni internazionali, quantomeno dimezzate rispetto alle precedenti gestioni presidenziali. Il Brasile nell’era Lula era al centro di attenzione politico ed economica da parte di tutti i Paesi del mondo mentre con Bolsonaro contatti e scambi commerciali si sono notevolmente ridotti, se tralasciamo con il compagno di merende Trump.

Uso eccessivo della forza e limitazione della libertà d’espressione, secondo Amnesty International non hanno fatto brillare la gestione Bolsonaro neanche sui diritti umani.

Nel 2021, l’organizzazione Human Rights Watch ha identificato 176 profili di giornalisti, membri del congresso, influencer, testate giornalistiche e Ong, compresa la Sezione brasiliana di Amnesty International, bloccati sui profili dei social media del presidente Jair Bolsonaro.

Tra trenta giorni i brasiliani torneranno al voto ma la strada per Lula è ancora in salita e quel che preoccupa la comunità internazionale sarà la strategia di Bolsonaro e la sua, qualora evidente, accettazione della sconfitta.

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