Diario di Viaggio. Dall’estero si scopre che la propaganda non è solo russa.

Mi preoccupa molto il pensiero unico dominante e ieri tornando in Italia, ho scoperto di epurazioni come sempre speculative di audience televisivo.

Parto da un concetto imprescindibile, esiste un aggressore e un aggredito punto.

Detto questo, mi occupo da oltre vent’anni di relazioni internazionali, abituato ad ascoltare, leggere, decodificare il linguaggio politico e diplomatico per poi valutare.

Stando all’estero, in un Paese molto più ostile dell’Italia verso la Federazione Russa per questioni storiche e più che comprensibili, ho avuto modo di comprendere meglio il quadro generale, ascoltare storie, sentire persone legate ad informazioni istituzionali e voci di chi bazzica l’economia di base, piccole imprese, commercio ma anche quella sottopancia, quella dedita al contrabbando, racket e criminalità.

Nell’unica certezza del dolore dell’invaso, la narrazione propende maggiormente a colpire la crudeltà russa, la follia del suo dittatore e la sottomissione della sua cerchia di fedelissimi.

Poi, ogni tanto, col contagocce, qualcosa trapela anche da parte Ucraina, ma giusto il tempo di una tornata di telegiornale per poi sparire sottovoce.

Il gambizzare come al tiro a segno prigionieri ammanettati e come tali protetti dalla convenzione sul trattamento dei prigionieri di guerra, è quello che ci arriva per caso, il resto chissà!

Non ne avrei fatto neanche una notizia, la guerra è guerra e l’imperativo è uccidere, soccombere il nemico e magari nel modo più cruento possibile. Del resto ci sono 14 mila morti in otto anni nelle cosiddette Repubbliche Indipendenti del Donbas, e non sappiamo in quali circostanze e come sono morti.

Poi arriviamo al confine e vediamo branchi di rom che dal territorio ucraino entrano in Polonia, accattonano con tanto di palo ai mucchi di vestiario a disposizione per i profughi, riempiono sacche e borse e tornano di là del confine. Qualcuno si avvicina, parla con il controllore del mucchio e se ne va.

Dopo qualche giorno scopriamo che la pandemia aveva creato criticità economica anche nel commercio e guarda caso arriva una guerra, dove il mercato nero rende tutto più appetibile e soddisfacente.

Così, di qua e di la del confine, guerra a parte, ci si vende e rivende molto di tutto quello che viene considerato gratuito e donato come aiuto umanitario.

Dai vestiti usati, ottimo vintage, ai famarci, cibo e giocattoli. Non mi stupisce, se penso al business schifoso messo in piedi in Italia dai centri accoglienza e indotto commerciale sulla pelle dei migranti.

Ma è una realtà, la criminalità organizzata si sta infiltrando in tutto questo giro. La preoccupazione è alta ma siamo spettatori impotenti.

Intanto, per restare in tema di propaganda, si estrapolano parole a Biden che definisce macellaio Putin e diventano un caso, senza saper leggere tra le righe che, il capo della super potenza americana si trova in casa di Paesi che hanno subito la repressione sovietica e l’affermazione era solo un velato messaggio in codice per dire:”sono con voi, con la vostra rabbia e paura”.

Tutto è filtrato, edulcorato e l’obiettività diventa un difficile stile, il social Presidente “Eroe” lo è davvero, ma non spacciatelo per Santo.

Dite pure che il Pentagono è in rotta di collisione con il Dipartimento di Stato per il tenore della comunicazione e che molta di essa è davvero esagerata, a volte lontana dalla verità, ma questo lo scopriremo più avanti come le armi chimiche di Saddam.

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