I soldi portano benessere, serenità e potere ma anche la tentazione o la pretesa di possedere e per certi ricchi, soprattutto arricchiti, qualcosa oltre i beni materiali, cioè le persone. Non entro nel merito delle relazioni sentimentali, mi soffermo su altro.
La letteratura e il cinema sono archivi preziosi di storie che narrano del potere aristocratico prima e borghese poi, nel trattare le persone al loro servizio come oggetti di casa, qualcosa a cui omettere l’anima quando dai ordini, esigi o insulti mancando di rispetto.
Il rispetto a terzi è sempre meno insegnato a prescindere dalla classe sociale ma l’abuso di potere quello che subdolamente ricatta o lascia intendere che “tu puoi permetterti” è tra le pieghe del falso perbenismo del piccolo imprenditore di provincia, del commerciante o del ristoratore per citare a caso. Per inopportuna formazione culturale, oggi come negli anni passati, sono convinti che dipendenti e fornitori siano qualcosa di cui possono disporre h24 sette giorni su sette.
È quello sguardo deciso accompagnato da un sorriso di circostanza che disarma quando la pretesa valica i confini del rispetto. Un rispetto dovuto ad ognuno e identificato nell’esistenza di una vita privata e personale, quello di uomini, donne o ragazzi che lavorano una settimana ed hanno momenti di vita in comune sempre più rari, per questo preziosi, e che si ritrovano costantemente di fronte a pretese fuori dal rapporto di lavoro.
La parola ricatto è abilmente sostituita da quel pensato ma non detto che lascia intendere allo “zerbino di turno”: “se non lo fai tu, lo faranno altri ovvero, alla scadenza del contratto non rinnovo o cambio fornitore.
Bene fanno i giovani d’oggi a stabilire regole chiare da subito, in grado di fortificare ciò che rientra nell’ambito dei doveri lavorativi e quelli inviolabili della vita privata.
Questo comportamento viene oggi mistificato come mancanza di passione o voglia di lavorare, da persone che hanno trascorso la loro vita dentro quattro mura lavorative accumulando denaro per conquistare una posizione sociale nel paese o esibire… che infinita tristezza morale!
Questa determinazione io la chiamo invece progresso sociale, la conquista di una libertà per troppo tempo negata.