Quei “boomers” che non possono mollare.

Nel  mondo del lavoro negli ultimi anni convivono tre generazioni, comprensibile che la più giovane sia insofferente e la più adulta abbia difficoltà di comunicazione per linguaggio e motivazione. La generazione di mezzo invece è sempre in ansia, teme che la giovane occupi il potere conquistato e quella in uscita trasferisca know-how e se ne vada.

Se escludiamo coloro che da sempre fanno con passione il lavoro di una vita e non hanno avuto incidenti di percorso, esistono boomers che non possono mollare nonostante insoddisfazione e stanchezza fisica e psicologica.

Sono quelli che a tre quarti dell’attività lavorativa hanno perso occupazione o non hanno contributi sufficienti ad andarsene. Nel 2008 per la crisi globale partita dal fallimento Lehman Brothers, poi la pandemia ora guerre e nuova instabilità finanziaria dei mercati.

Trovare nuova occupazione stabile a 55/60 anni non è cosa facile come pure subire una vessazione psicologica di capi e colleghi, i primi perché li considerano di poca resa e poco propensi a cambiamenti e nuovi processi, i secondi li assoggettano a roba vecchia di cui disfarsi velocemente.

Molti di essi hanno figli di 30 anni a loro volta precari e ancora in casa, altri sono già nonni con il peso di sostenere le difficoltà di figli alle prese con mutui e nipoti. Chi invece è proprio fuori dall’attività lavorativa e cerca di riciclarsi o riconvertirsi ma sono pochi, deve scalare montagne le cui vette sono irraggiungibili proprio per età anagrafica e sconnessione con metodi, linguaggi e sistemi.

Anche se oggi il precariato è una forma esistenziale, anni fa all’ingresso del mondo del lavoro era normale lavorare in nero o come volontario in cambio di apprendistato,  c’era però il rischio di contributi fantasma molte volte non versati, io ne so qualcosa. I controlli scarsi o su commissione erano la prassi. Oggi però che siamo alla resa dei conti quei buchi obbligano a lavorare allontanando l’agognata pensione.

Non è tutto così come appare, giudicare, disprezzare ed emarginare persone, colleghi che ancora tengono il passo nonostante il peso degli anni, indicandoli come stakanovisti dall’ego smisurato che non vogliono mollare, molte volte è fuori luogo e inappropriato.

Dietro ogni persona c’è una storia che non sempre possiamo conoscere e questo invita al rispetto se non ad un meritevole aiuto.

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