Il work life balance contamina le proteste del caro affitti.

Riprendo un passaggio che induce a riflessioni di Francesco Giubilei de “Il Giornale”. Scrive che davanti all’Università La Sapienza a Roma, i giovani in protesta per il caro affitti hanno levato le tende venerdì scorso per tornarci oggi.

Davvero singolare l’atteggiamento, forse è l’allineamento con il “work life balance” di cui tanto si parla nel mondo del lavoro, evitare che lo stress contamini in eccesso la vita privata e il weekend, è tempo di aperitivi, locali ed attività più amene. Anche la frenetica attività social ne risente e la campagna di protesta può ben fermarsi.

Il caro affitti, che non deve essere una censura all’attività del privato cittadino ma un problema serio, grave che investe invece comuni e la politica nazionale dall’alto, da tempo nel nostro Paese attende soluzioni, le stesse che premono nel campo di politiche abitative, leggasi case popolari.

Tutto questo però, non mi esenta dal pensare agli anni ’70 dove migliaia di operai occupavano i piazzali delle fabbriche, o proprio a Roma, come in altre città, i nonni di questi studenti manifestavano dentro e fuori le mura universitarie.

Erano occupazioni convinte e le mobilitazioni erano di massa, interagivano obbligatoriamente con episodi di violenza negli scontri con le forze dell’ordine ma non mollavano.

Un’organizzazione perfetta che raccoglieva solidarietà e consenso, necessaria sollecitazione a cambiamenti epocali, una forza sociale in grado di far agire il legislatore ma anche chi i capitali li produceva e muoveva dando regole al mondo del lavoro.

Ma la memoria torna anche al 2011, quando per realizzare un servizio per la TV Svizzera italiana restai una settimana a Madrid ed una a New York sotto le tende degli Indignados ragazzi spagnoli, e degli Occupy Wall Street americani

I primi manifestavano contro la crisi economica provocata del governo Zapatero i secondi contro le speculazioni finanziarie di Wall Street solidarizzando con le primavere arabe.

Ambedue le manifestazioni di massa, ebbero effetto di propagazione anche in altri Paesi tra cui l’Italia in tono minore, furono ispirate dal libro” Indignatevi” di Stephane Hessel che incontrai a Parigi prima della sua morte.

Quei ragazzi restarono lì per mesi giorno e notte al freddo, disposti anche a farsi caricare sui cellulari dalla polizia, si distolsero dalle console della Playstation e da iTunes, erano consapevoli della finalità delle loro azioni, di dover agire con senso di responsabilità sociale e non mollarono finche ottennero ciò che volevano dai loro governi.

Cosa è cambiato da allora? Protestare è diventato un lavoro e a fine orario si stacca per un aperitivo? Qualcuno me lo spieghi. 

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