Il relativismo sbiadisce la cultura italiana. Non è disonore tutelarla.

È indubbio ci sia indignazione, anche la mia, e una presa di distanza dalle parole del ministro per l’Agricoltura Lollobrigida quando parla di sostituzione etnica, ma il passo successivo, quello di consegnare tutto ad una globalizzazione che ha portato anche a interdipendenze e perfino ad unire il commercio, le culture, le tradizioni, i costumi, il pensiero e i beni culturali, rischia di inglobare negativamente le identità.

Sono un sostenitore della negatività dell’eccesso sociale dell’applicazione teorica del “relativismo”, fondata sul riconoscimento del valore soltanto relativo, e non oggettivo o assoluto, sia della conoscenza, dei suoi metodi e criteri, sia dei principi e dei giudizi etici.

Perché devo ritenermi affrancato ad un’ideologia politica di destra o sinistra se riconosco nella mia cultura, nelle tradizioni e soprattutto nella storia qualcosa che tramandandosi ha costituito la mia identità di italiano? Qualcuno me lo spiega?

Avverto piuttosto, in maniera ineludibile, il semplice spirito di attaccamento, di orgoglio e un principio etico di protezione a tutela di.

Lo dico da cittadino del mondo, accanito sostenitore del possibile confronto, dell’integrazione a sostituzione dell’aggregazione e dell’interscambio di sinergie ed esperienze per dar vita a nuove forme sociali di convivenza e produttività.

Ma questa cosa che per un filosofico e radical chic sinistroso debba accondiscendere all’accettazione di ogni altra cultura, lingua e tradizione fino a rendere la mia un accessorio anziché l’elemento principale nel quale contaminare altre esperienze, mi diventa insopportabile.

Con questo atteggiamento finisco quasi per dovermi vergognare d’essere e sentirmi italiano, mentre secondo certi colorati pensieri, dovrei esserlo maggiormente quando in maniera nazional popolare mi viene concesso d’esserlo di fronte alla vittoria della nostra nazionale.

Sono fiero di ciò che sono e non me ne voglia nessuno, preferisco esserlo per Dante, Leonardo e Michelangelo anziché per un calciatore.

E poi tutto questo è paradossale, questo subliminale fiume di parole del circo mediatico porta a dover sussurrare la bellezza del made in Italy, quando in tutto il mondo le persone lo amano, lo studiano, desiderano viverlo a gran voce.

Chi ha fatto la storia di questo Paese, di fronte a tutto questo direbbe che non ne vale la pena.

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