Il fenomeno del degrado urbanistico delle periferie delle città nasce negli anni’60. Un autorevole giornalista, Antonio Cederna, conosciuto per la sua attenzione all’architettura ambientale in quegli anni riferiva dell`indifferenza all’ambiente architettonico e la generale ignoranza della cultura urbanistica moderna in favore del privilegio per la speculazione edilizia, leggi del profitto e della necessità di una legge in proposito.
A quei tempi però, il degrado era generato anche dalla pessima educazione civica degli abitanti, in nessuna città esclusa. Le persone gettavano carta e mozziconi per strada, sputavano a terra nei marciapiedi e nei bar, l’igiene era poco considerata. Le grandi masse si spostavano dalle aree rurali dei piccoli paesi alle fabbriche o negli uffici pubblici delle città.
Di anni ne sono passati e le persone, maggiormente istruite e educate hanno contribuito a migliorare la vivibilità sociale negli ambienti in cui vivono. Chi invece sembra venire meno al dovere istituzionale sono le varie giunte municipali che sul degrado di periferie, ma in alcuni casi anche centri storici lasciano alquanto desiderare.
L’ultimo caso è Roma e Via Nazionale, questa volta non c’entrano cinghiali e sorci.
In pochi mesi hanno chiuso nella oramai decaduta via dello shopping capitolino 45 negozi e alcuni tra i migliori bar e caffè. Sono numerabili gli alberelli rimasti a secco, senza citare i bivacchi dei numerosi senza tetto. Tantissime limitazioni, affitti alle stelle e scarsità di parcheggi hanno fatto il resto.
Come in altre città italiane gli appartamenti sono quasi tutti diventati, molti abusivamente, dei Bed and Breakfast, gli uffici pubblici proseguono lo smart working penalizzando ulteriormente e e così è scomparso anche il turismo di bassa qualità.
In mezzo a tanta crisi i proprietari dei locali commerciali, anziché mantenere l’affittuario magari calando il costo, preferiscono tenere il locale vuoto. Il ceto medio ormai non vive più nei centri storici, a volte manco più in periferia.
Così, si uccide lentamente l’economia locale rendendo i centri un ammasso di folla serale e notturna, abbandonando una fetta di turismo legato allo shopping. La dolce vita solo un ricordo cinematografico.
Per anni sono stati favoriti anonimi centri commerciali, l’uno la fotocopia dell’altro e l’idea che invece servissero anche luoghi di ricreazione vera per favorire la divulgazione della cultura neanche a pensarci, così l’abbiamo resa privilegio per pochi.
Nel frattempo nelle periferie si spaccia, si picchia e si deruba costringendo anziani, giovani e famiglie alla reclusione anziché alla vita sociale.
Nel 2008 girando per le calle di Barcellona, vidi desolazione e una bruttezza insolita, paragonabile solo a certe periferie o città dell’Est Europa dopo il crollo del muro di Berlino.
Vie piene di negozi, bar, ristoranti e movida, improvvisamente le vedevo morte, lasciate al loro destino per una crisi inarrestabile.
Oggi rivedo questo nella capitale d’Italia e quando sento parlare di progetto di riqualificazione urbana in Via Nazionale con tram e alberghi di lusso non posso che sorridere, evitando le più appropriate lacrime.