Il dolore senza confini nella Via Crucis di Francesco.

Trovo aberrante quello che sta accadendo attorno alla decisione di Papa Francesco di far partecipare alla Via Crucis di domani sera al Colosseo, una famiglia ucraina e una russa.

L’idea di coinvolgere cittadini a rappresentare le parti coinvolte in questa tragedia, è ricca significato. La loro partecipazione è prevista per la tredicesima stazione, considerata una delle più strazianti del percorso: rappresenta il momento in cui Cristo è deposto dalla Croce  ed il suo corpo viene riconsegnato alla Madonna.

Due donne Irina e Albina si faranno carico della croce di legno che verrà consegnata loro, al termine della dodicesima stazione, da una famiglia che ha perso un figlio. Senza dire una parola entrambe, in processione, la consegneranno ad una famiglia di migranti.

Ho letto le parole dell’Ambasciatore ucraino presso la Santa Sede come pure quelle dell’Arcivescovo della Chiesa greco cattolica, arrivano a definire un pugno nello stomaco la decisione, parlano di riconciliazione solo quando chi dissemina morte avrà cessato di combattere.

Premesso che il Pontefice è un Pastore e non un politico e che pur contravvenendo all’abitudine di chi l’ha preceduto negli anni, ha preso una posizione chiara verso gli aggrediti, credo abbia agito guidato da altre considerazioni, almeno questo è il mio pensiero.

Le persone comuni, quelle lontane dal potere, dall’eccesso di denaro, sono le prime vittime di guerre assurde e quelle scelte per rappresentare il calvario di Cristo lo sono.

Lo sono da parte degli aggrediti quelle che fuggono dalle loro case per sfuggire alla morte dentro rifugi improvvisati, quelle che lasciano dietro di sé mariti, figli, parenti morti per strada, sotto i bombardamenti notturni, o torturati, stuprati e uccisi da chi si eccita e appaga con il sangue.

Lo sono altrettanto dalla parte dell’aggressore, famiglie i cui figli ancora giovanissimi sono strappati, vestiti di una divisa di cui vergognarsi e mandati a morire con l’inganno.

Lo sono persone comuni che si trovano a vivere dentro una dittatura sempre più cruenta, ripiegata su sé stessa e isolata dal mondo, a cui viene impedita verità e l’espressione del dissenso.

In tutto questo, il dolore accomuna e rende simili. L’amore, per un credente, dovrebbe essere la forza dirompente che consola, protegge ed unisce.

Non comprendere ed accettare questo significa perpetuare nel tempo colpe su chi non ne ha, le nuove generazioni tedesche ad esempio, non possono rispondere dei loro avi nazisti come pure gli odierni occidentali sulle persecuzioni coloniali, razziste e religiose.

In tutto questo, ripeto da settimane, continuo ad avere riserve, non su le vere vittime di questa guerra, gli ucraini, ma su chi li governa ed esercita il potere, ormai spudoratamente guidato dall’esterno come in un impossibile reality.

Non vi sono tracce di una concreta ricerca della pace ma solo richieste di aiuto che nascondono provocazioni perché tutto questo conduca a una guerra planetaria i due principali contendenti, Stati Uniti e Federazione Russa.

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