Diario di viaggio.La rete che divide disperazione dalla normalità.

È difficile comprendere come pochi centinaia di metri di terra, possano corrispondere a due mondi diversi. Erano pensieri che facevo di fronte a quel che restava del Muro di Berlino nel 1989 e che ho rifatto ieri nella prima giornata al confine Ucraino.

Passavo con l’auto finita l’autostrada in piccole strade di campagna, dove incontrare un camion significa retrocedere per lungo tratto.

Il verde già intenso di una primavera polacca anticipata faceva contrasto con l’azzurro del cielo e un tiepido sole, casette pulite coi giardini ordinati, centri d’allevamento di cavalli bellissimi, laghetti, scuole e distese di campi campi pronti alla semina, una perfetta e serena normalità della vita d’ogni giorno.

Fino ad una strada senza uscita, lì in fondo si scorge una fila, delle tende, qualche macchina e pochi furgoni. Sono a Medyka, l’ultimo avamposto di terra dell’Unione Europea, oltre è Ucraina.

Ogni notte arrivano al di qua ancora centinaia di donne, bambini e anziani, tanti tantissimi. Presentano documenti, quando li hanno e una volta registrati li portano a Przemyls, il primo vero centro di accoglienza.

Un vecchio deposito in disuso è diventato l’approdo di disperati in cerca di una mano, una tazza di caffè, una coperta, un sorriso.

Ne arrivano ogni giorno circa cinquemila, si trattengono solo una notte, la mattina successiva salgono su autobus di volontari, spagnoli, francesi, tedeschi, portoghesi e tanti italiani.

Ad oggi sono più di centomila i volontari polacchi lungo il confine. Sono allo stremo, una macchina organizzativa pazzesca, a loro si uniscono centinaia di volontari provenienti da ogni parte d’Europa, pare di essere a Babele.

Nel frattempo, il Ministro della Salute polacco ha dovuto smentire casi di covid nei centri accoglienza, ma l’opinione pubblica non la pensa allo stesso modo, sapendo che solo il 34% dei profughi è stato vaccinato in Patria.

La mattina, dopo il turno al Centro di accoglienza, sono andato a visitare due scuole, la prima dove risiedono profughi, classi, palestre, mense piene di lettini da campo e coperte, la seconda dove i bambini ucraini imparano la lingua polacca, ma non sono solo i bambini ci sono anche molte mamme, mi hanno detto di dover imparare la lingua se vorranno lavorare in Polonia e pensare al futuro. Hanno sguardi spenti, vuoti, e riaccendono il sorriso solo quando i figli prendono le loro mani.

Le prime pagine dei quotidiani polacchi ieri titolavano alludendo a Putin: “Stalin ha stabilito quando sarà l’inizio della terza guerra mondiale”, citando il famoso detto:”Se puoi colpisci, altrimenti non combattere”.

Un’ultima considerazione, a Varsavia  vi sono code per la richiesta di visti d’espatrio, non solo Ucraini già residenti ma anche giovani ragazzi polacchi, non si sentono più sicuri, hanno paura che accadrà di nuovo. Sono già in fila dalle quattro di mattina con temperature sotto lo zero ma quel che è strano che ipotizzano un trasferimento in Cina, lì dicono, avranno la certezza che nessuno mai possa andare ad invadere.

Avranno ragione?

1 commento su “Diario di viaggio.La rete che divide disperazione dalla normalità.”

  1. Valentina Reiner

    Che esperienza forte che stai vivendo, Bruno. Lo smarrimento di queste persone è devastante già a leggerlo, chissà a vederlo nei loro visi. Grazie della tua cronaca diretta!

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