Giustizia ed umanità dividono nel caso dei fratelli Scalamandrè

È sempre molto difficile parlare di certe questioni, si rischia di essere fraintesi o ancor di più peccare di buonismo. Parlo di giustizia, violenze sulle donne e di chi subisce.

Alessio e Simone Scalamandrè di 30 e 22 anni, sono stati condannati dalla Corte di Assise di Genova rispettivamente a 21 e 14 anni di reclusione per l’uccisione di Pasquale, il loro padre 62enne denunciato all’epoca del fatto per violenze contro la madre.

Mentre i legali dei ragazzi preparano l’appello, la gente, che ora torna sul caso, esprime la propria opinione, ancora una volta dividendosi.

Fermo restando che nessuno ha la liceità di togliere la vita a qualcuno e che la legge è giusto venga applicata, resta il piano umano della questione.

Quando due genitori semplicemente litigano e lo fanno alzando un pò di più la voce, sbattendo qualche oggetto che hanno tra le mani o sbattendo porte e finestre come reazione di sfogo per rafforzare quella rabbia provocata dalla discussione col partner, già è una sofferenza per bambini e adolescenti.

Non si è al sicuro pensando che sono chiusi nella loro stanza, credendo ingenuamente che possano razionalizzare e capire le ragioni o di chi sia la colpa. Quello che sentono è qualcosa che li turba profondamente nell’intimo e quando i litigi degenerano alla violenza, prima verbale e poi fisica, e assumono una costante, quelle cicatrici resteranno per tutta la crescita e la durata della loro vita.

Uomini o donne, diffidenti all’amore, alle relazioni, oppure carichi di rancore tanto da sfogarlo alla prima relazione importante. Proiettano ciò che hanno subìto.

Non possiamo andare ogni volta a ricostruire le origini, ma molti dei casi di violenza ne hanno una e spesso portata per anni in silenzio prima di esplodere.

Sono state raccolte in Italia in questi mesi tante, testimonianze per dibattere il tema, sono tantissimi e tantissime le persone che hanno avuto in casa un padre violento, prima solo ubriaco e poi un mostro.

Persone che hanno visto molte volte la propria madre, soccombere, altre volte reagire per difenderli da una furia che rischiava di includere anche loro e per questo punita con maggiore e inaudita violenza.

Chi si oppone, afferma che magari sarebbe stata l’ennesima lite come altre, solo urla e botte ma chi subisce?

Cosa faremmo noi vedendo nostra madre umiliata, repressa, privata della sua dignità di donna e picchiata ad ogni diverbio? Non saremmo all’inizio nella condizione di imprecare impotenti chiusi in stanza e col passare del tempo, uscendo da quelle mura, pensare che nostro padre sarebbe migliore da morto?

La rabbia repressa diviene dinamite e quando l’età della consapevolezza cresce a 30 e 22 anni si possono commettere anche atti di cui poi ci si pente o, non ci si pentirà mai nel nome della giustizia, quella terrena ancora debole per porre fine a questo mattatoio. 

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