Nell’ elezione del XIII Presidente della Repubblica italiano, il Parlamento è riuscito a scrivere, regalando al Paese, la più avvilente pagina della storia istituzionale, rendendo vincitore il futuro popolo degli astensionisti alle periodiche elezioni.
Molto è stato detto e scritto nel corso di giornate mediatiche interminabili, frutto della resa del momento più elevato della Repubblica al mercato dei social e della mattanza esibizionista della compagnia di giro giornalistica.
Come cittadini non possiamo che inchinarci a Sergio Mattarella, per aver ancora una volta indossato il senso del servizio allo Stato.
Quello a cui abbiamo assistito in Italia ma anche nel mondo, è stata la fragilità di un Parlamento incapace di riportare alla ragion di Stato uno sparuto numero di leader, così erroneamente chiamati dal sistema politico.
Un sistema dove l’esercizio della democrazia par venire meno nelle segrete di riunioni ad orologeria, dove qualcuno propone, e correnti interne giocano al risiko di personali interessi anziché a quelli per cui son stati eletti.
Uno sconforto vedere capannelli di politici ciondolare tutto il giorno tra cortili, transatlantici, trattorie e telecamere prima di esercitare il diritto di voto, restando in attesa che qualcosa accada per mano di una cinquina di auto elevati.
Se la base parlamentare non reagendo si è dimostrata inetta e onusta dalla paura di perdere stipendio e pensione, chi aveva il potere di scegliere, coordinare ma soprattutto confrontarsi e decidere è gravato da maggiori responsabilità.
La prima, non aver trovato il tempo nei mesi precedenti, di porre in agenda incontri in grado di identificare scelte costruttive e ristrette personalità sulle quali puntare.
Poi, l’incapacità di coraggio nell’affrontare un tema di centralità politica ovvero, il fallimento di un bipolarismo ormai evidente, dove l’equilibrio democratico soffre da sempre la mancanza di una vera destra liberale, oggi ostaggio di inopportuni sovranismi e di una sinistra ambigua, un pò troppo distante dalla classe sociale prima, vero punto di riferimento per le sue scelte politiche.
Il centro è divenuto un porto di facile approdo per naufraghi esiliati, ancora convinti che un progetto di moderati possa riportare consenso e successo democristiano nel nuovo millennio.
Esiste poi un bacino di eletti di poliedrica identità politica, privi di esperienza e competenza, prestati al servizio del potere rappresentativo nel nome di una democrazia digitale progettata ad hoc in un momento di deriva politica, ed oggi implosa e tenacemente attaccata al solo potere individuale.
Anche Mario Draghi non ha brillato anzi, pur non mettendo in dubbio il prestigio di competenza e servizio reso al Paese e all’Europa, quel richiedere un binomio di nomi posti all’altezza del della sua statura professionale senza i quali avrebbe potuto far saltare il banco del Governo, quindi rendendoli ricatti subliminali, l’ha reso altezzoso oltre misura e di un’ambizione davvero fastidiosa.
Quei molti, riuniti in Assemblea comune sotto la bandiera italiana, hanno deluso il Paese mettendo sotto gli occhi di tutti la necessità di un cambiamento di rotta, nella costituzione, nel sistema elettorale, nella scelta dei futuri candidati nei partiti e perfino nella possibilità di affidare al popolo la scelta del Presidente.
Al momento abbiamo solo un comandante, per fortuna, uno che non abbandona la nave anche se affonda.