L’era del “subire”.

Se il marketing non è solo pubblicità o vendita, ma significa studiare il mercato, capire i clienti e offrire ciò che serve al momento giusto e nel modo giusto, allora, considerando una buona fetta dei nuovi autori di programmi televisivi, siamo messi molto male.

La rabbia monta quando, all’ora di pranzo, sullo schermo compare una pubblicità che richiama i tuoi bisogni legati a un intestino pigro, al ciclo mestruale o al cambio dei pannolini. In tempi non troppo lontani, non solo il linguaggio, ma anche la forma era severa e attenta a non provocare emotivamente disagio. Oggi, invece, di fronte a un telespettatore evoluto e onnisciente, qualche genio seduto in illuminati open space della Milano globale, e autorizzato dal cliente-produttore, ritiene che per comprendere bene il concetto della funzionalità del prodotto sia necessario rappresentarne tutte le componenti, e per giunta a colori, dimenticando che in ognuno di noi quelle immagini attivano la corteccia insulare, la parte del cervello che associa e crea disgusto.

Ma nulla possiamo: siamo infatti nell’era in cui subire in silenzio ed essere ritenuti una massa di consumatori deficienti è all’ordine del giorno.

Pensiamo al contenuto di una semplice bibita al bar: siamo passati gradualmente dal bere 500 ml di acqua o aranciata, a 330 ml e adesso a 275 ml, con un costo della bottiglietta fuori di testa; e se hai avuto anche il coraggio di sederti, è ancora peggio. Lo stesso discorso vale per i biscotti, la pasta e altri prodotti. Ognuno giustifica gli aumenti adducendo ogni scusa, e noi non abbiamo il potere di reagire, perché se non facciamo azioni di massa capaci di lasciarli coi magazzini pieni, nulla cambierà. L’esperimento delle spiagge a pagamento deserte, lo scorso mese, ha reso bene l’idea a questi signori.

Ma anche sul fronte video e rete siamo messi male. Gruppi di autori ben pagati lavorano su format in grado di produrre dipendenza emotiva senza senso, considerandoci imbecilli – e forse lo siamo – mentre la programmazione estiva è fatta quasi tutta di repliche di cose già vecchie.

Se proviamo a leggere online un quotidiano, o qualunque cosa tratti informazione, siamo sommersi da scritte e pagine pubblicitarie che si aprono di continuo, e la nostra diventa una battaglia digitale di sopravvivenza culturale.

Per questo, rabbia e disgusto sono le sensazioni che certificano il nostro quotidiano subire.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Torna in alto
Share via
Copy link
Powered by Social Snap